Wasted, Amsterdam premia il riciclo della plastica con monete speciali e sconti

700 famiglie hanno aderito a Wasted ad Amsterdam, progetto che incentiva il riciclo della plastica con sconti e monete speciali da spendere nei negozi affiliati.

Nel quartiere Noord di Amsterdam è nato Wasted, un progetto pilota che vede coinvolti singoli cittadini, aziende e negozi locali. La logica è semplice, la matrice è ambientale: favorire e ampliare il riciclo premiando questa pratica con monete verdi e sconti da utilizzare nei negozi, birrifici, bar e ristoranti del quartiere.

Per ogni sacco di plastica raccolto i cittadini che aderiscono al progetto ricevono un gettone verde come ricompensa. I gettoni si possono spendere nei negozi e nei locali della zona in modo, anche, da favorire un senso di comunità. Più di 700 famiglie a distanza dalla nascita del progetto a inizio 2015 hanno già preso parte all’iniziativa e oltre 30 commercianti accettano le preziose monete verdi realizzate, naturalmente, con materiali riciclati.

 

Come funziona Wasted

Per utilizzare Wasted è necessario iscriversi sul sito. Successivamente, a ogni iscritto viene inviato un apposito kit con delle buste di plastica etichettate con un codice Qr dentro le quali raccogliere tutti i rifiuti di plastica. Questo sistema permette agli organizzatori di calcolare il credito di monete accumulato da ogni famiglia ogni volta che vengono consegnati i sacchi.

Questi ultimi possono essere portati dalle famiglie stesse in alcuni punti di recupero oppure raccolti direttamente dagli addetti comunali. In base alla quantità di plastica consegnata vengono date delle monete verdi, i “wasted friends”, che offrono sconti ai partecipanti. I materiali plastici raccolti vengono impiegati per realizzare panchine, tavoli, mobili, parco giochi per bambini e cestini per rifiuti. L’obiettivo è incentivare le persone al riciclo, premiandole e allo stesso tempo insegnando loro a usare meno plastica. Il tutto con un senso di comunità virtuosa, in cui tutti ci “guadagnano”: cittadini, commercianti e soprattutto l’ambiente.

Wasted è nata come iniziativa nell’ambito di Cities foundation, un’organizzazione con base ad Amsterdam che si occupa di progettare soluzioni locali a problemi urbani globali attraverso processi di co-creazione. È costituita da un gruppo motivato di cittadini che lavorano quotidianamente per introdurre sistemi di circolarità nelle città attraverso l’innovazione. La diffusione ancora bassa della pratica del riciclo ad Amsterdam è ciò che ha spinto l’organizzazione a sperimentare Wasted. Pertanto la sfida è stata quella di innescare un cambio di mentalità, trasformando la concezione di raccolta differenziata da un dovere a un piacere.

Secondo un sondaggio svolto di recente tra gli aderenti al progetto Wasted, il 52 per cento degli intervistati ha dichiarato di aver migliorato le proprie abitudini di raccolta differenziata e il 23 per cento di aver ridotto il consumo di plastica. “La gente comincia a rendersi conto di quanti rifiuti vengono prodotti, rimanendone impressionata”, spiega la milanese Francesca Miazzo, co-fondatrice del progetto. Solo nel 2015 il piccolo quartiere olandese di Noord è riuscito a raccogliere circa 16,5 tonnellate di rifiuti di plastica, un risultato eccellente se pensiamo che sono otto milioni le tonnellate che ogni anno finiscono in mare.

Obiettivi futuri

L’obiettivo principale rimane quello di incentivare la raccolta differenziata estendendo questa realtà anche in altri quartieri di Amsterdam o in altre città, motivando un numero sempre più elevato di cittadini e famiglie a praticare il riciclo, premiandoli e allo stesso tempo sensibilizzandoli.

Tra gli obiettivi c’è anche quello di sviluppare un progetto simile in Italia. “Stiamo digitalizzando il sistema che aprirà anche a vetro, carta e tessuti. Forse la moneta verde diventerà digitale, per essere ‘green’ al massimo”, svela Miazzo. La buona riuscita del progetto Wasted fa ben sperare in un’attenzione sempre maggiore al corretto smaltimento dei rifiuti. Introducendo un sistema che valorizzi il riciclo Wasted abbatte le abitudini insostenibili rafforzando inoltre le relazioni sociali all’interno di un quartiere e quindi accelerando il passaggio verso una società più ecologica.

 

(fonte: lifegate.it)

La ricercatrice italiana che ha scoperto il bruco mangia plastica

Federica Bertocchini è una ricercatrice di Piombino che lavora in Spagna, a Santander, all’Istituto spagnolo di biomedicina e biotecnologia della Cantabria (Csic).
Il suo studio sull’organismo mangia plastica – pubblicato inizialmente sulla rivista scientifica Current Biology – si è guadagnato le copertine delle maggiori riviste europee. Eppure, come spiega lei, si tratta di una scoperta nata per caso.

 

La passione per le api

Tutto è nato da una passione della ricercatrice: l’apicoltura. «Durante l’inverno tengo i miei alveari in casa, senza api – ha spiegato Federica Bertocchini -. Al momento di pulirli, ho notato che erano infestati di bruchi della cera (Galleria mellonella). Il fatto in sé non è sorprendente: queste larve crescono nei pannelli di cera, cibandosi di cera e miele. Pulendo i pannelli, ho messo i bruchi in un sacchetto di plastica, e dopo poco, ho visto che la borsa di plastica era piena di buchi e i bruchi erano fuggiti».
Per confermare la scoperta, la ricercatrice ha messo un centinaio di larve in un sacchetto. Dopo 12 ore, la massa della busta si era ridotta di 92 milligrammi: un tasso di degradazione estremamente rapido, rispetto a quello osservato in altri microrganismi capaci di digerire la plastica

Quali sviluppi futuri

Come fanno le larve a digerire la plastica? «Assieme ai miei colleghi Paolo Bombelli e Christopher Howe, del dipartimento di biochimica dell’università di Cambridge – prosegue la ricercatrice -, siamo arrivati alla conclusione che il fatto che questi insetti si cibino anche di cera possa renderli capaci di rompere il legame chimico caratteristico del polietilene, il materiale con cui sono prodotte le comuni shopper. Il legame chimico che si trova nella cera, infatti, è identico».
È plausibile immaginare che questo insetto, quindi, venga utilizzato per ridurre l’inquinamento da plastica?
«L’idea non è quella di usare il bruco della cera – dice la Bertocchini -. Si tratta, infatti, di un animale infestante per gli alveari. Di certo, questa scoperta ci aiuterà a studiare i meccanismi molecolari che sono responsabili della reazione, caratterizzare la, o le, molecole e produrle in larga scala usando le biotecnologie e studiare le condizioni di attività. A quel punto si potrebbe usare questo strumento per degradare la plastica. Ma non i bruchi».

(fonte: Rivistanatura.com)

Raffreddamento radiativo: combattere il caldo senza elettricità

I passi avanti del raffreddamento radiativo diurno

Dagli scienziati di Stanford un nuovo sistema di raffreddamento passivo che spedisce il calore in eccesso nello Spazio.

I tradizionali sistemi di raffreddamento climatico degli ambienti interni consumano circa 15% dell’elettricità prodotta a livello mondiale, rendendosi responsabili del 10% delle emissioni globali di gas serra. Questa voce è destinata a crescere in maniera esponenziale nel medio termine: si stima una domanda quasi decuplicata entro il 2050. Migliorarne l’efficienza è diventato pertanto un imperativo a cui molti ricercatori stanno cercando oggi di dare una risposta che sia efficiente ed economica nello stesso tempo. Una delle opzioni studiate negli ultimi anni è quella del raffreddamento radiativo, una strategia di raffreddamento passivo che permette di ridurre le temperature con minori consumi elettrici.

La tecnologia sfrutta il fenomeno del “Nocturnal surface cooling”, nel quale il calore viene irradiato nello spazio dalla superficie della Terra durante la notte se il cielo è senza nuvole e l’umidità è bassa.

In questo contesto si inserisce la ricerca di un gruppo di scienziati dell’Università di Stanford a Palo Alto, California. Il team ha creato dei pannelli radiativi raffreddanti con una nuova struttura ottica capace di garantire un significativo raffreddamento anche nelle ore diurne.

I nuovi moduli funzionano senza bisogno di elettricità e sono composti essenzialmente da tre elementi. Il primo è uno strato di plastica ricoperto da un rivestimento d’argento che riflette quasi tutta la luce del sole incidente. Lo strato di plastica è posto in cima al secondo componente, un tubo di rame all’interno del quale scorre acqua (proveniente dal sistema di condizionamento) che cede alla plastica il calore sottratto agli ambienti interni. Quel calore è poi irradiato all’esterno dalla plastica ad una lunghezza d’onda nella regione centrale dello spettro infrarosso. Infine, l’intero pannello è racchiuso in una custodia in plastica isolante termica che assicura quasi tutto il calore espulso provenga dall’acqua in circolazione e non dall’aria circostante.

Gli ingegneri californiani hanno testato il nuovo raffreddamento radiativo sul tetto d’un edificio del campus, dimostrando di poter abbassare la temperatura di 5 gradi Celsius.  Hanno inoltre calcolato che, in un clima di caldo secco, il loro sistema unito ad un impianto di climatizzazione potrebbe diminuire i consumi di elettricità del 21%.

“Questa ricerca – spiegano gli ingegneri – si basa su un nostro lavoro precedente con il raffreddamento radiativo ma lo porta a un livello successivo. Fornisce per la prima volta una dimostrazione tecnologica ad alta fedeltà di come si possa utilizzare questo sistema per raffreddare passivamente un fluido e, in tal modo, collegarlo con sistemi di climatizzazione per risparmiare energia elettrica”.

La ricerca è stata pubblicata ieri su Nature Energy e gli scienziati fanno già sapere d’aver formato startup, denominata SkyCool Systems a Burlingame, in California, per commercializzare la tecnologia.

 

(Fonte: Rinnovabili.it)

Dagli USA la cella fotovoltaica che sfrutta quasi tutto lo spettro

Come una torta a più strati ma dalle dimensioni millimetriche. La nuova cella fotovoltaica ad alta efficienza, creata negli Stati Uniti, dosa e incastra sapientemente i materiali con cui è realizzata per portare le sue prestazioni all’estremo. L’obiettivo è riuscire a raccogliere l’energia dell’intero spettro luminoso e il lavoro svolto da Matthew Lumb dell’Università di George Washington ci va davvero molto vicino.

Il ricercatore, assieme ad alcuni colleghi, ha progettato e costruito un prototipo di solare a concentrazione con un’efficienza del 44,5%. Il design impila minuscole celle, ognuna con un semiconduttore differente, affinché il risultato finale sia una sorta di setaccio tecnologico per i raggi luminosi. Ogni strato assorbe l’energia dei fotoni incidenti in una gamma di lunghezze d’onda differente. Nel momento in cui la luce viene fatta passare attraverso l’unità, più della metà dell’energia disponibile è convertita in elettricità. In confronto, la cella fotovoltaica tradizionale converte appena un quarto dell’energia che la colpisce.

Un nuovo materiale per una cella fotovoltaica ad alta efficienza

Per poter ampliare la regione dello spettro luminoso da sfruttare, i ricercatori hanno impiegato una famiglia di materiali basati sull’antimoniuro di gallio (GaSb), semiconduttore che si trova solitamente nelle applicazioni laser a raggi infrarossi e nei fotorivelatori. Il GaSb permette di assorbire i fotoni con lunghezze d’onda più lunghe dei tradizionali semiconduttori. Quindi, ai ricercatori è bastato impilare la micro cella in antimoniuro di gallio assieme ad altre unità fv ad alta efficienza a base di arseniuro di gallio, che catturano fotoni a lunghezze d’onda più corte.

Lo studio e l’utilizzo del fotovoltaico multi-giunzione non è una novità. Tuttavia questo approccio ha due aspetti innovativi. In primo luogo, utilizza una famiglia di materiali ancora poco esplorata nel settore, quale il GaSb. Inoltre, la procedura di impilamento utilizza una tecnica nota come stampa per trasferimento, che consente l’assemblaggio tridimensionale di questi piccoli dispositivi con un elevato grado di precisione.

 

Realizzare questo tipo di cella fotovoltaica, avvertono gli scienziati, è molto costoso, tuttavia è importante mostrare il punto più alto di quello che è possibile ottenere in termini di efficienza. Nonostante i costi attuali dei materiali coinvolti, la tecnica utilizzata per creare le celle è davvero promettente.

 

(Fonte: Rinnovabili.it)

Acqua potabile: arriva il desalinatore solare da giardino

Ottenere acqua potabile da quella di mare praticamente ovunque, anche in aree dove non è presente la rete elettrica. Questa la promessa che fa il nuovo desalinatore solare portatile realizzato dalla Rice University, in Texas. Il sistema utilizza una combinazione di tecnologia di distillazione a membrana e nanofotonica per trasformare l’acqua salata in acqua potabile solo con l’aiuto della luce del sole.

“La dissalazione solare diretta potrebbe essere una svolta per quel miliardo di persone che non hanno accesso all’acqua potabile”, spiega ha detto Qilin Li, scienziata del Center for Nanotechnology Enabled Water Treatment (NEWT), il centro di ingegneria da cui è nato il progetto. “Questa tecnologia offgrid è in grado di fornire abbastanza acqua pulita per un uso familiare con un ingombro ridotto, ma può essere scalata per procurare acqua potabile anche a comunità più ampie”.

 

Desalinatore solare, tra tradizione innovazione

Il metodo più antico per ottenere la desalinizzazione è la distillazione. Si fa bollire l’acqua salata e il vapore viene catturato e fatto passare attraverso una spirale di condensazione. Il sistema richiede un’infrastruttura complessa ed è energeticamente inefficiente a causa della quantità di calore necessaria.

Le cose cambiano leggermente con la distillazione a membrana dove acqua salata calda (senza bisogno di bollirla) viene fatta fluire su un lato di una membrana porosa idrofobica e di acqua fredda sull’altro. Il gradiente termico che si crea determina la formazione di una differenza di pressione parziale tra le due facce che spinge il vapore attraverso i pori. I consumi energetici sono ridotti rispetto al metodo tradizionale, ma ancora significativi.

 

 

È qui che entra in gioco la nanofotonica: il desalinatore solare della NEWT integra nella architettura della membrana nanoparticelle ingegnerizzate che raccolgono ben l’80 per cento della luce solare incidente per riscaldare l’acqua e generare vapore. Il sistema è stato testato come proof-of-concept, utilizzando una camera di pochi millimetri di spessore e le dimensioni di tre francobolli e un pannello fotovoltaico. “L’intensità energetica ha raggiunto i 17,5 kilowatt per metro quadrato quando abbiamo utilizzato una lente per concentrare la luce solare di 25 volte, e la produzione di acqua è aumentato a circa sei litri per metro quadrato per ora”, aggiunge Li.

 

Il team ha già realizzato un sistema molto più grande di circa 70 per 25 centimetri. “Si potrebbero assemblare insieme le unità, proprio come si farebbe con i moduli in un impianto fotovoltaico. A seconda del tasso di produzione di acqua richiesto, si calcola l’area della membrana necessaria. Ad esempio, se avete bisogno di 20 litri all’ora, ed i pannelli producono 6 litri l’ora per metro quadrato, basterebbe ordinare un po’ più di 3 metri quadrati”.

 

(Fonte: Rinnovabili.it)

Un telefono cellulare senza batteria? Esiste e prende energia dall’ambiente

La notizia di un cellulare da ricaricare 4 volte l’anno ci aveva già fatto ben sperare. Ora arriva la notizia di uno senza batteria che si ricarica con l’aria. Non si tratta di fantascienza, ma di un prodotto che esiste già, nel presente. Il telefonino funziona con pochissima energia — qualche milionesimo di watt catturato dall’ambiente tramite onde radio e luce — e permette di abbandonare caricabatterie, cavi e telefonini che si scaricano continuamente. Per realizzarlo i ricercatori dell’Università di Washington hanno ripensato del tutto il design degli attuali dispositivi, come riporta lo studio pubblicato sulla rivista Proceedings of the Association for Computing Machinery on Interactive, Mobile, Wearable and Ubiquitous Technologies. «Il telefonino è il dispositivo da cui dipendiamo di più oggi. Se c’è qualcosa che vorremmo usare senza dipendere dalle batterie è proprio questo», ha detto Joshua Smith, uno degli autori dello studio. Il prototipo è in grado di svolgere le funzioni fondamentali: fare e ricevere chiamate, trasmettere dati e permettere a chi lo usa di inviare comandi con dei pulsanti. Per poter funzionare «sfrutta le vibrazioni che si producono nel microfono o negli altoparlanti quando si fa o si riceve una chiamata». Un’antenna connessa ai componenti converte i movimenti in segnali radio: «mentre si parla, il telefono codifica le vibrazioni in onde radio, invece quando si è in ascolto queste vengono trasformate in suoni». La poca energia che è ancora richiesta per altre funzioni è ricavata dalle onde radio emesse da un trasmettitore e dalla luce, grazie a minuscole celle solari.

Come funziona?

In un paper pubblicato a inizio luglio, gli scienziati hanno presentato i risultati della ricerca, finanziata anche dalla National science foundation e Google faculty research awards. Il «battery free cellphone» funziona con una tecnica chiamata «backscatter», tramite la quale il dispositivo è in grado di comunicare riflettendo le onde radio. Per recuperare energia, diversi componenti del «telefono» sono stati installati separatamente, tra cui una stazione base con circuiti per la connessione alla rete cellulare. Il prototipo è dotato di una tastiera touch per digitare il numero, nonché un piccolo pannello LED che lampeggia ogni volta che si preme un tasto. Non si può pretendere di più al momento, considerando il fatto che uno schermo touch richiederebbe — da solo — circa 400 milliwatt. Il telefono funziona come un walkie talkie, con la necessità di tenere premuto un pulsante per parlare/ascoltare. In futuro verrà inoltre implementato un display e-ink per l’invio di messaggi di testo.

Lavorare a basse potenze

Per Bryce Kellogg, dottorando di ingegneria elettronica alla University of Washington e coautore della ricerca, la sfida più importante è stata quella di lavorare a basse potenze: «La quantità di energia che si può ricavare dalle onde radio o dalla luce ambientale, è nell’ordine di 1 o 10 microwatt. Così — ha spiegato — le operazioni telefoniche in tempo reale sono state davvero difficili da realizzare senza sviluppare un approccio completamente nuovo per la trasmissione e la ricezione delle conversazioni».

(Fonte: Corriere.it)

Perdite della rete idrica, ci pensa il mini robot PipeGuard

PipeGuard, la sentinella della rete idrica

In Italia il sistema idrico è un vero e proprio colabrodo. I dati pubblicati nel recente Blue Book 2017 (promosso da Utilitalia) forniscono un quadro scoraggiante, fatto di infrastrutture vecchie e fatiscenti e alti sprechi. In media la rete nazionale conta fino al 38 per cento di perdite, con situazioni più drammatiche al Centro (46%) e al Sud (45%).

A dare una mano alla risoluzione del problema potrebbe essere PipeGuard, il nuovo robot sviluppato da MIT di Boston. Simile nell’aspetto al volano del badminton, il piccolo dispositivo è in grado di rilevare le variazioni di pressione causate da una perdita grazie ad una coda in gomma morbida che si espande per riempire il diametro delle tubature.

Come funziona PipeGuard?

Questo robot può essere inserito nel sistema idrico attraverso qualsiasi idrante, affidandolo al flusso dell’acqua. Durante il “viaggio”, la posizione è costantemente monitorata e il rivestimento di gomma permette di registrare anche la più piccola variazione di pressione. Il team ha effettuato un test sul campo in Arabia Saudita, sfruttando una tubatura arrugginita lunga 1,6 chilometri e di 5 cm di diametro.

I ricercatori hanno creato una perdita artificiale e lasciato che PipeGuard si aggirasse lungo curve, giunti a T e connessioni per rintracciarla.

 

Abbiamo calato il robot in una congiunzione del tubo e lo abbiamo tolto da un’altra”, spiega You Wu, uno degli scienziati che ha lavorato al progetto. “Lo abbiamo testato per 14 volte durante tre giorni e ha completato l’ispezione ogni volta con successo. Inoltre, ha trovato una perdita di circa 4 litri al minuto, che è un decimo della dimensione minima identificata in media dai metodi di rilevamento convenzionali”.

 

La soluzione MIT sembra avere un vantaggio notevole rispetto agli altri sistemi robotizzati creati sino ad oggi, in quanto la sua coda in gomma ha la capacità di espandersi in tubi di varie dimensioni, come un ombrello. Il passo successivo è quello di realizzare una versione ancora più flessibile e pieghevole di PipeGuard, che si adatti rapidamente a diametri diversi. Non solo il sistema potrebbe essere adattato anche agli impianti di distribuzione del gas naturale, tubature spesso vecchie e scarsamente mappate le cui perdite sono difficili da individuare. Non solo. Gli scienziati stanno già lavorando su un piccolo upgrade per rendere il robot capace non solo di individuare le perdite della rete idrica ma anche di effettuare una riparazione immediata sul posto.

(Fonte: Rinnovabili.it)

SERVIZI WEB IN MANUTENZIONE

Gentile utente, con l’inizio del nuovo anno si è proceduto ad una rivisitazione completa dei servizi web rivolti a cittadini, fornitori ed enti pubblici. I nuovi servizi saranno disponibili progressivamente nelle prossime settimane.

Attualmente non è quindi possibile accedere all’area sicura utenti per la consultazione delle bollette. 

In ogni caso, per il 2017, non sono ancora stati spediti documenti fiscali pertanto, chi avesse disattivato l’invio cartaceo delle bollette, sarà avvisato via email tempestivamente. Per quanto riguarda il progetto Città Pulita, è ancora possibile inviare una segnalazione attraverso questo link. Sarà cura dei nostri operatori prendere in carico la segnalazione e risolvere la problematica.

Ti invitiamo a tornare su questo portale web nei prossimi giorni per restare aggiornato sulle ultime novità e per attivare gli eventuali servizi web che saranno pubblicati.

Buona navigazione.

INFORMAZIONI UTILI RELATIVE ALLA RESTITUZIONE DEL DEPOSITO CAUZIONALE

Il precedente Cda del Consorzio Padova Sud, che ha terminato il suo mandato il 25 novembre del 2015, aveva deliberato di applicare il deposito cauzionale sulle forniture distribuite. Il deposito era previsto per le forniture dei bidoni e tag (le tessere elettroniche presenti nei Comuni dove e’ attivo il Sirv) che vengono distribuiti agli utenti e che dovrebbero essere restituiti al momento dell’ eventuale cessazione del contratto. La logica e’ la medesima per tutti i fornitori di servizi pubblici locali: luce, acqua e gas, forniscono un contatore su cui viene applicato un deposito cauzionale. Lo stesso deposito che e’ stato applicato per la fornitura del kit agli utenti della gestione rifiuti. Il ritiro delle cauzioni sulle forniture e’ stato deciso dal consiglio di amministrazione del Consorzio Padova Sud presieduto da Alessandro Baldin. Il deposito cauzionale e’ stato restituito con l’ultima fatturazione del 2016 che si sta ultimando in queste settimane. La restituzione viene esplicitata in bolletta con la dicitura “deposito cauzionale dotazioni” recante il segno meno.

Alcuni utenti hanno preferito non pagare la bolletta contenente il deposito cauzionale, compilando autonomamente un bollettino recante l’importo totale gia’ decurtato del deposito cauzionale. Trattandosi comunque di una forzatura non e’ stato possibile impedire l’invio della regolare diffida di pagamento dovuta secondo i termini di legge. In questi casi comunque la diffida puo’ essere tranquillamente ignorata.

Per quanto riguarda gli utenti che invece non hanno pagato la bolletta e non hanno nemmeno provveduto ad utilizzare un bollettino in bianco, la riscossione coattiva seguira’ il normale percorso normativo.

CALENDARI RACCOLTA DIFFERENZIATA 2017

Sono disponibili i calendari della raccolta differenziata porta a porta in versione Pdf: Vedi calendari.
Per visualizzarli o scaricarli e’ sufficiente scaricare un lettore di file Pdf (clicca qui).